Il 21 giugno 2019 alle 9 di mattina ora italiana Netflix ha reso disponibile sulla propria piattaforma i 26 episodi della serie di Neon Genesis Evangelion del 1995 e i film Death(true)² e The End of Evangelion.
Il nuovo adattamento a cura di Gualtiero Cannarsi, ipotizzato sul nostro sito con grande anticipo, ha suscitato scalpore e questo era facilmente immaginabile. Quello che nessuno avrebbe potuto immaginare il 21 giugno è la portata del clamore del caso che questo nuovo adattamento avrebbe creato.
Con questo articolo non è mia intenzione analizzare l’adattamento: abbiamo espresso brevemente la nostra opinione al riguardo, arriverà presto un articolo più approfondito con questo scopo e tanti altri hanno già dedicato o stanno dedicando tempo a questo obiettivo.
L’intenzione del mio editoriale è raccontare il caso #Evaflix vissuto dall’interno, come appassionata di Evangelion, più che da docente di Lettere interessata alle questioni linguistiche, e come redattrice di un sito che è stato travolto da messaggi privati sui propri social, cosa che non era accaduta con questa portata nemmeno ai tempi in cui in Giappone avevano annunciato il 2020 come anno di uscita per il quarto e ultimo film del Rebuild, tanto per citare un altro momento in cui Distopia era stato preso d’assalto.
Ecco, da appassionata mi è rimasto l’amaro in bocca non solo per l’adattamento, a cui riconosco numerosi limiti, ma anche perché l’adattamento e soprattutto l’adattatore hanno catalizzato l’attenzione del pubblico, lasciando Evangelion in quanto capolavoro nell’ombra.
Era da anni che i diritti per la serie TV e i film del 1997 erano bloccati e questa sarebbe dovuta essere l’occasione per riappropriarci della nostra storia e dei nostri personaggi preferiti, invece tutto è stato oscurato da “recalcitranza”, “pochitto” e “orpelli anacronistici”.
Capiamoci bene: io non approvo determinate scelte lessicali che distraggono lo spettatore in quanto prediligono termini corretti ma desueti o troppo letterari, e costruzioni morfosintattiche che non trovano ragion d’essere, pur essendo effettivamente in italiano.
Le lingue, tutte, evolvono costantemente e bisogna fare i conti con le costruzioni che si usano nell’italiano corrente.
Tra i casi che più mi hanno colpito, uno riguarda la battuta di Asuka all’interno di The End of Evangelion adattata in «Di morire non mi va», nella precedente versione italiana resa con «Non voglio morire».
Su ammissione di Cannarsi, l’intenzione era di riportare una intonazione da cantilena infantile usata da Asuka nella scena in giapponese, ma in italiano la frase, ripetuta all’infinito dal personaggio, provoca un involontario effetto di sospensione dell’incredulità in un momento che dovrebbe trasmettere il dramma.
Eppure sia «Di morire non mi va» che «Non voglio morire» sono frasi in italiano.
Perché la prima versione sembra funzionare meno della seconda?
La questione è relativa alla costruzione stessa del periodo: complesso, con frase principale posticipata rispetto alla frase subordinata sostantiva (di solito, in italiano si anticipano altri tipi di subordinate rispetto alle relative principali), meno diretto rispetto allo spettatore il primo; semplice, con un predicato formato da un verbo servile e infinito, diretto e onesto nel suo intento comunicativo il secondo.
Si potrebbe obiettare che con «Non voglio morire» si perda l’intonazione infantile dell’originale giapponese, ma allora si sarebbe dovuto optare per una terza soluzione, che rendesse giustizia a tono, intenzione e significato sia del giapponese sia dell’italiano.
Mi limito a questo esempio per non tediarvi, ma il nuovo adattamento è ricco di questo tipo di inversioni ed è questo, tanto quanto la scelta dei singoli termini, che distrae lo spettatore.
La discussione dell’adattamento “Apostoli” per “Angeli”, in quanto traduzione letterale del termine “Shito”, o “Stato di furia” per “Berserk”, in quanto traduzione letterale del termine “Boso”, è una simpatica questione, su cui è ovvio che il fandom discuta (e noi ne abbiamo ampiamente discusso), ma equivale a soffermarsi sul dito quando si chiede di guardare la Luna.
Dal 21 giugno, proprio con l’intenzione di dare voce al malcontento del fandom, sono stati organizzati due eventi in live streaming, a cui ha partecipato anche Cannarsi per spiegare determinate scelte.
Non voglio focalizzarmi tanto sugli specifici contenuti delle due live, organizzate rispettivamente da Astromica e da Animeclick.it, a cui non ho partecipato (in accordo con Filippo “Nevicata”, abbiamo preferito mandare un solo rappresentante a nome dello staff di Distopia per non creare più confusione del dovuto), ma sono stata fortemente colpita da due cose.
L’adattatore ha spiegato con linguaggio forbito e dovizia di particolari le sue scelte, ma mi ha dato l’impressione di concentrarsi e fossilizzarsi soprattutto sui dettagli, perdendo di vista l’insieme delle problematiche che gli venivano sottoposte.
A una grande capacità di analisi non è corrisposta un’adeguata capacità di sintesi: le domande e le obiezioni dei vari interlocutori di entrambe le live sono state semplicemente scomposte in dettagli infinitesimali, senza affrontare quasi mai il problema complessivo che veniva di volta in volta sottoposto.
Molto spesso questi dettagli infinitesimali riguardavano il significato dei singoli termini in giapponese per motivare il corrispondente termine scelto in italiano, ma ho trovato che queste interminabili spiegazioni non tenessero conto del fatto che le singole parole vengono individuate per formare frasi e periodi e che è la resa in italiano di intere frasi e periodi che ha portato gli spettatori a scaldarsi.
La seconda cosa che mi ha colpito è che molti spettatori delle due live abbiano a gran voce richiesto la partecipazione di esperti di lingua giapponese perché, a detta di molti, solo degli esperti di lingua giapponese avrebbero potuto confutare al 100% determinate scelte controverse dell’adattatore.
Fermo restando che qualche esperto di giapponese in più sarebbe servito e che so per certo che molti sono stati invitati e hanno declinato l’invito, reputo che l’adattatore avrebbe ugualmente provato a rispondere con sicurezza alle obiezioni linguistiche, stavolta portando come prove dettagli infinitesimali riguardanti Evangelion nello specifico, tanto quanto nel confronto con tutti gli interlocutori presenti effettivamente nelle live ha risposto con sicurezza alle obiezioni portando dettagli infinitesimali riguardanti il giapponese.
In sintesi, si è spostato il problema dalla resa in italiano dei dialoghi al solo ed esclusivo giapponese.
Non mi pronuncio su un metodo di lavoro che è estremamente personale e di conseguenza può piacere o meno, al cui ideatore riconosco in ogni caso il merito di un forte amore per le opere di animazione giapponese, ma sono profondamente perplessa nell’aver sentito nelle live che solo ed esclusivamente l’opera di partenza conta, solo preservarne il profondo senso originale, e non il dover rendere fruibile a tutti i costi al pubblico italiano l’opera stessa perché questo significherebbe necessariamente fare traduzioni “fantasiose” – nessuno rimpiange gli adattamenti liberi degli anni Ottanta, ma io personalmente trovo discutibile finire nel campo dell’integralismo della traduzione.
Lo scopo per cui viene commissionato un adattamento è proprio rendere fruibile un’opera, senza distorsione alcuna, a un pubblico che non parla la lingua in cui quell’opera è scritta, che sia giapponese, russo, inglese, etc.
Nel caso di Evangelion stiamo parlando di un’opera audiovisiva, composta da testo recitato e immagini, che quindi comporterebbe anche il doversi porre vari problemi legati alla fase del doppiaggio e alla sincronizzazione al labiale delle singole battute, ma non è questa la sede per parlarne, quindi restiamo concentrati sulla fruibilità del testo.
Sembra proprio che il nuovo adattamento di Evangelion sia poco fruibile secondo la gran parte degli spettatori e della stampa, se pensiamo che la faccenda ha valicato il mondo del fandom ed è approdata su varie testate generaliste, tra cui La Repubblica e La Stampa.
Questo è il problema a mio avviso.
Se il nuovo adattamento di Evangelion con le sue scelte lessicali e morfosintattiche che, a detta dell’adattatore, non tradiscono il senso originale del giapponese non arriva al pubblico, se tutto quel bagaglio di emozioni profonde che l’opera originale possiede non passa agli spettatori italiani, tanto vecchi quanto nuovi, significa che qualcosa nel nuovo adattamento non funziona.
Questo è il problema reale.
Con il nuovo adattamento di Evangelion l’intensità emotiva semplicemente non arriva al pubblico e non è un problema di interpretazione delle battute da parte del nuovo cast di doppiatori o di direzione del doppiaggio.
Il nuovo adattamento non è stato capace di ricreare negli spettatori italiani il coinvolgimento che il testo originale provoca negli spettatori giapponesi, quando il coinvolgimento degli spettatori nei drammi personali di Evangelion, il provocare immediata empatia o identificazione con i personaggi, è stato sempre uno dei punti di forza della serie.
Questi ultimi giorni di discussioni, polemiche e dibattiti mi hanno sinceramente sfiancata, per fortuna è stata annunciata per il 6 luglio 2019 l’anteprima della sequenza introduttiva di Evangelion: 3.0 + 1.0, in vari paesi del mondo, di cui abbiamo dato tempestivamente notizia, ed è stato l’unico raggio di sole in mezzo alla tempesta.
Preferirei tornare a occuparmi di Evangelion in quanto capolavoro, pregustando quello che sarà, ma so già che Quer pasticciaccio brutto dell’adattamento Netflix di Evangelion è ancora molto lontano dalla sua risoluzione, come dimostra l’imperversare del dibattito a distanza di una settimana dall’inizio della disponibilità in streaming della serie.